(di Francesco De Filippo)
(MARZIO G.MIAN, VOLGA BLUES
(Gramma Feltrinelli; 314 pagg: 20 euro) Nonostante il tempio di
San Nicola il Taumaturgo e la cattedrale della Trasfigurazione
del Salvatore, alla sorgente del Volga, lì dove tutto ebbe
inizio, il riferimento sociale, storico, politico e religioso, è
Sant'Olga (890-969), principessa variaga della stirpe rjurikide
(dal nome del capostipite Rjurik), tutti discendenti da
vichinghi Rus'. Avevano capitale a Kiev e diedero il nome alla
futura Rossija (Russia). Da questo presupposto e da questo luogo
nasce (senza visto giornalistico nella Russia in guerra!) il
viaggio di Marzio Mian scrittore e del fotografo Alessandro
Cosmelli condensato in un libro, "Volga blues".
La principessa Olga con i suoi massacri causò la scomparsa
dei drevljani (600 anni dopo la morte sarebbe stata santificata
lo stesso) e uno stile di potere che caratterizzerà da Ivan il
Terribile a Lenin, Stalin, Putin. Un tratto, i massacri, che
Mian scoprirà ininterrotto nella storia e nella geografia, lungo
i 3.500 chilometri del Volga. Alla ricerca della dusa, l'anima
russa, da San Pietroburgo ad Astrakan. Mian e Cosmelli li
percorrono in un van guidato da Vlad, senza patente adeguata e
quasi alcolizzato e dalla sua compagna, Katja, cantante mancata,
personalità borderline intenzionata a denunciare ai servizi
segreti Fsb i due clienti italiani.
Quella di Mian non è la Russia di Mosca o San Pietroburgo
(Leningrado) ma quell' impasto originale di sgomento davanti
all' immensità della Natura, propaganda politica, terrore della
violenza dei regimi, orgoglio per un fumoso spirito russo,
credenze religiose che sfiorano il paganesimo e inclinazione
autodistruttiva. Impasto cementato dalla taiga, più in là dalla
tundra, e dalle temperature insopportabili.
Qui, del potere centrale, distante migliaia di chilometri,
riecheggiano vaghi proclami, si subiscono le cicliche purghe
oppure le scelte mastodontiche di stabilimenti siderurgici
grandi come città, o città di ricerca nucleare come Dubna.
Scelte degli anni staliniani che imposero il passaggio repentino
dal vomere all'acciaio, all'atomo. Conseguenza furono e sono due
opzioni: incrollabile fiducia o odio per l'uomo forte del
regime. Oggi, ragazzi indossano t-shirt con il volto di Stalin:
ribellione e nostalgia di un passato non conosciuto.
Mosca e San Pietroburgo sono enclave isolate, ci si allontana
di qualche chilometro e non si degrada in campagna, si piomba in
una dimensione multiforme e sconosciuta, regno di calmucchi,
ciuvasci, udmurti, tatari, tedeschi del Volga, baschiri. Mian si
avventura in terre cariche di storia e di spettri, incontra
bimbi sequestrati in Ucraina e in 'russificazione',
intellettuali critici e depressi, imprenditori fai-da-te,
energumeni della Wagner, sacerdoti scismatici. Terre dove si
vive na grani, sull'orlo, al limite, perennemente. Non
meraviglia la diffusa abitudine di zapoj, sbornia a oltranza.
Tutto e il contrario di tutto: nell'immensità russa, nella
piccola Ul'janovsk, sono nati Vladimir Il'ič Ul'janov, Lenin, e
nello stesso quartiere, il suo nemico, Aleksandr Fëdorovič
Kerenskij.
Eppure, qui dove la vita umana sembra priva di valore, dove
davanti alla spaventosa forza della Natura si è indifesi, tra
Cristo e vari anticristi, nonostante una cappa di nichilismo
soffochi le coscienze, un tratto accomuna tutti: la dusa. Quella
fiamma che sconfisse svedesi, polacchi, francesi, nazisti. Oggi
si accende di rancore per gli occidentali: europei, non
americani. Mian, che ha scritto un libro che è una miniera e una
scoperta, cita Puskin per descrivere narod, il popolo russo:
"Obbediente alla suggestione del momento, indifferente e sordo
alla verità effettiva, una bestia che si nutre di favole".
L'Orso russo.
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