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'Torturato in carcere':famiglia, 'lunedì vogliamo giustizia'

'Torturato in carcere':famiglia, 'lunedì vogliamo giustizia'

La cognata della vittima: "Non cali l'attenzione"

BOLOGNA, 13 febbraio 2025, 12:52

Redazione ANSA

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"Quello che è successo nel mentre che era detenuto in una struttura penitenziaria italiana e, quindi, assicurato nelle mani dello Stato, non è accettabile. Il racconto di ciò che ha provato ci ha sconvolto ancora più del video che abbiamo visto. Vogliamo sia fatta giustizia, per lui, per chi ancora ad oggi subisce trattamenti di questo genere e credo, da cittadina italiana, anche per tutti quegli operatori che all'interno di quella struttura, così come in altre, lavorano ogni giorno in maniera idonea, impeccabile e rispettando le regole". Lo dice all'ANSA la cognata del giovane detenuto tunisino che il 3 aprile 2023 subì un pestaggio all'interno del carcere di Reggio Emilia: lunedì 17 febbraio davanti al Gup Silvia Guareschi è prevista la sentenza per dieci agenti della polizia penitenziaria accusati a vario titolo di tortura, lesioni e falso. La Procura, con la pm Maria Rita Pantani, ha chiesto condanne fino a cinque anni e otto mesi per gli imputati.
    Il detenuto fu incappucciato con una federa stretta al collo, sgambettato, denudato e picchiato con calci e pugni, anche quando era in terra, e calpestato. Poi fu portato in cella, nuovamente picchiato e lasciato nudo dalla cintola in giù per più di un'ora. Tutto è stato documentato da un video delle telecamere interne al carcere. Quando il filmato, agli atti dell'inchiesta, venne diffuso dai media, un anno fa, il ministro della Giustizia Carlo Nordio disse di provare "sdegno e dolore per immagini indegne di uno Stato democratico".
    "Dopo un anno chiediamo che non cali l'attenzione. La sentenza di lunedì deve essere da monito per chi indossa quella divisa. Come ho detto deve servire anche per chi lavora in modo corretto, siamo convinti che la maggioranza degli agenti penitenziari non operino in quel modo e sappiamo che fare quel mestiere non è facile. Noi crediamo nelle forze dell'ordine e nel loro lavoro, non vogliamo attaccare le istituzioni, anzi ringraziamo la Procura e tutti quelli che ci hanno ascoltato e supportato in questi mesi", prosegue la parente del detenuto, parte civile, assistito dall'avvocato Luca Sebastiani. "Ma denudare, incappucciare e picchiare una persona in quel modo non può essere giustificabile", continua.
   

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