L'impresa di ieri di Filippo Ganna ai
mondiali in Francia è solo l'ultima in ordine di tempo. L'Italia
del ciclismo su pista è sul tetto del mondo, al femminile come
al maschile eppure sembra un paradosso in un Paese alle prese
con una endemica crisi impiantistica. C'è un'Italia che pedala
e, sulle piste di ogni dove, continua a conquistare successi in
serie. E c'è un'Italia che langue, pedalando invece in
controtendenza e attirandosi gli strali di tesserati e sportivi
in genere: è quella degli impianti, la cui penuria è un
argomento che ricorre ciclicamente, ma non riesce a trovare
concrete risoluzioni. Il paradosso sta nel periodo delle vacche
assai grasse che vive il ciclismo su pista azzurro, che stride
grossolanamente con quello della mancanza di strutture dove
poter praticare questo tipo di disciplina. La situazione dei
velodromi italiani è poco edificante e procede di pari passo con
quella dell'impiantistica in generale. La Federciclismo sta
cercando di percorrere diverse strade, per migliorare quantomeno
il panorama, anche se non è facile. "Attualmente esiste solo un
velodromo al coperto in Italia - spiega Silvio Martinello, un
oro olimpico e cinque iridati su pista, oggi dirigente e
commentatore tv, ma soprattutto profondo conoscitore della piaga
dell'impiantistica -. Parlo del velodromo di Montichiari
(Brescia), una struttura coperta che è a disposizione della
Federciclismo grazie a una deroga, dal momento che l'impianto è
sottosequestro. In Italia esistono una trentina di velodromi, ma
si tratta di impianti scoperti, alcuni dei quali resi inagibili
dall'incuria. Il paradosso, clamoroso, sta nel fatto che noi
siamo ormai diventati un Paese di riferimento nel ciclismo su
pista e questo nonostante non vi sia un impianto coperto di
utilizzo generale". Uno dei nodi più complessi è quello del
velodromo di Lovadina di Spresiano, nel Trevigiano, dove è
prevista la costruzione di un impianto coperto nuovo di zecca. I
lavori, però, si sono interrotti a causa dei costi del
materiale, che sono lievitati in modo spropositato, frenando la
ripartenza. Lo stesso impianto di Montichiari è tornato a
disposizione degli atleti azzurri dopo la ristrutturazione del
tetto e della pista. Le altre strutture, a cominciare Vigorelli
di Milano, sono all'aperto e non hanno nulla da dividere con
impianti di cui godono Paesi come la Gran Bretagna o
l'Australia: in quei casi l'osmosi strada-pista, è diventata
imprescindibile per lo sviluppo di tutto il movimento. "L'altro
paradosso - aggiunge Martinello, da esperto di cose della pista
- è che non esiste attualmente un'attività vera e propria, solo
in alcuni casi i comitati locali organizzano un'attività
regionale. A livello nazionale, però, non si va oltre i
Campionati italiani. Ai miei tempi di attività ce n'era tanta e
anche quand'ero in Federazione ho cercato pianificarla". Restano
i successi degli azzurri grazie al loro talento e "ai meriti dei
tecnici", sottolinea Martinello. "Adesso - rileva - è rimasto
Villa che ha la capacità e l'intelligenza di coinvolgere atleti
di qualità: prima Viviani e adesso Ganna. La mancanza di
impianti in Italia, tuttavia, è un problema che non riguarda
solo il ciclismo. Mi chiedo perché non si sfruttino questi
periodi contrassegnati dalle vittorie per investire. I successi
devono essere la forza trainante di un movimento sportivo".
L'anello olimpico di Roma Eur (disegnato da Cesare Ligini a fine
anni '50 e destinato a ospitare i Giochi del 1960) è stato fatto
brillare pochi mesi prima di venire tutelato dal vincolo della
sovraintendenza come bene di interesse architettonico (era il
2008). Al suo posto doveva nascere l'ennesimo centro
commerciale, adesso è rimasto un buco e Roma resta così l'unica
capitale senza velodromo.
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