La lista di Hamas con i nomi dei tre ostaggi che saranno rilasciati oggi trasmessa a Gerusalemme ha spazzato via i timori che tutto fosse perduto, la vita dei rapiti e la tregua a Gaza. Sabato, nel sesto round della prima fase dell'accordo, torneranno in libertà Aleksandr Sasha Trufanov, cittadino russo-israeliano di 29 anni, Saguy Dekel-Hen, israelo-americano 36enne, ed il 46enne Yair Horen.
I tre erano stati presi in ostaggio il 7 ottobre 2023 nel kibbutz di Nir Oz. Secondo fonti palestinesi, la consegna alla Croce Rossa avverrà a Khan Younis, nel sud della Striscia, tra le 8 e le 10 del mattino. In cambio, ha fatto sapere Hamas, lasceranno le carceri israeliane 369 detenuti, 36 dei quali stanno scontando condanne all'ergastolo, mentre altri 333 erano stati arrestati a Gaza dopo il massacro. Uno di loro sarebbe Hussam Abu Safiya, direttore dell'ospedale Kamal Adwan dell'enclave. Di fatto, si tratta del numero più elevato di palestinesi che escono dalle celle in una sola tornata nella prima fase dell'accordo di 42 giorni. Con il ritorno in Israele di Trufanov, Dekel-Hen e Horen, se tutto andrà bene, restano in cattività nella Striscia 14 dei 33 ostaggi della prima fase.
Si ritiene che 9 siano ancora vivi. L'elenco dei rapiti inclusi in questa parte dell'intesa che non sono ancora tornati a casa include Shiri Bibas e i suoi due bambini, per la cui sorte l'Idf sottolinea grande preoccupazione. Poi 5 (3 rilasciati oggi) uomini nella categoria degli adulti e altri 9 malati o feriti. Israele, è stato confermato in serata indirettamente dall'ufficio di Benyamin Netanyahu, sta "lavorando in pieno coordinamento con gli Stati Uniti per garantire la liberazione del maggior numero possibile di ostaggi vivi, il più rapidamente possibile". "Intendiamo sfruttare appieno questa opportunità. Dopodiché, tutte le opzioni saranno sul tavolo", ha dichiarato un alto funzionario israeliano. Ma senza chiarire che cosa intenda Gerusalemme con 'tutte le opzioni'. Ossia se il cessate il fuoco continuerà, anche alla luce della scadenza fissata per sabato da Donald Trump per il rilascio di "tutti loro (i rapiti ancora in vita)".
Hamas ha invece auspicato che le armi continuino a tacere, ed ha chiesto che la seconda fase dei negoziati inizi già la prossima settimana. Intanto, dopo lo shock provocato dalle parole del presidente Usa sul trasferimento dei gazawi dalla Striscia, i Paesi arabi si sono messi al lavoro con urgenza per sviluppare un piano sul futuro di Gaza. Secondo diverse fonti di Reuters, l'Arabia Saudita sta guidando i lavori per arrivare a una bozza sul dopoguerra che sarà discussa in un incontro a Riad con Egitto, Giordania ed Emirati Arabi Uniti, prima del vertice arabo programmato per il 27 febbraio: tra le proposte, un fondo di ricostruzione guidato dai Paesi del Golfo e un accordo per mettere da parte Hamas. L'ipotesi del Cairo prevede la formazione di un comitato nazionale palestinese al governo di Gaza senza il coinvolgimento di Hamas, la partecipazione internazionale alla ricostruzione senza espellere i palestinesi e un orientamento verso una soluzione a due Stati.
Secondo numerosi analisti, Trump starebbe usando un vecchio stratagemma da manuale diplomatico: dichiarare una posizione estrema (via i residenti da Gaza che diventa la riviera mediorientale) come mossa di apertura per negoziati reali. Una partita di poker dove le carte dei Paesi arabi sono in mano al principe ereditario saudita Mohammed bin Salman. Nel frattempo, le famiglie di Sasha, Saguy e Yair incontreranno i loro cari dopo 498 giorni di disperazione. Non il padre di Sasha, Vitaly, ucciso da Hamas il 7 ottobre. Saguy vedrà per la prima volta la sua terza figlia, Shachar, nata quando lui era a Gaza da due mesi. Yair dovrà convivere con l'euforia di tornare libero e l'incubo del fratello Eitan che resta nelle mani dei terroristi. Insieme con altri 70 ostaggi dei 251 rapiti, tenendo conto dei corpi di almeno 35 persone la cui morte è stata confermata dall'Idf.
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