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Con i babyboomer in pensione, 100mila lavoratori in meno

Con i babyboomer in pensione, 100mila lavoratori in meno

Prometeia: via dal lavoro 500 mila l'anno, mancano i sostituti

ROMA, 02 novembre 2023, 19:20

di Chiara Munafò

ANSACheck

Operai al lavoro - RIPRODUZIONE RISERVATA

Operai al lavoro - RIPRODUZIONE RISERVATA
Operai al lavoro - RIPRODUZIONE RISERVATA

Dalle culle vuote a fabbriche e uffici vuoti. I babyboomer figli del miracolo economico tra gli anni Cinquanta e l'inizio degli anni Sessanta stanno conquistando la pensione e non ci sono abbastanza giovani per sostituirli. Da ultimo, è una nota della società di consulenza Prometeia a suonare l'allarme. Stima che, fino al 2030, lasceranno il lavoro per raggiunti limiti di età circa 500 mila persone all'anno e mancano giovani per prendere il loro posto.
    Se anche il tasso di occupazione dei ragazzi italiani fosse in linea con quello delle migliori pratiche europee, questi potrebbero coprire al massimo 400 mila posti di lavoro. Ogni anno mancherebbero così all'appello oltre 100 mila lavoratori per effetto del calo delle nascite che si è registrato negli anni e vede l'Italia seconda solo al Giappone per declino della popolazione.
    A complicare le cose, c'è l'alto numero di disoccupati e di Neet, i ragazzi che non studiano e non lavorano, che sono in Italia più che in ogni altro Paese europeo con l'eccezione della Romania: quasi uno su cinque, tra i 15 e i 29 anni, nel 2022. E pesa inoltre il disallineamento delle caratteristiche dei ragazzi e delle loro aspettative professionali con le competenze richieste dalle imprese e le condizioni di lavoro che offrono, spesso caratterizzate da precarietà e bassi salari. Del resto, i posti che resteranno scoperti - nell'analisi di Prometeia - sono soprattutto quelli meno qualificati, dove si concentrano i lavoratori più anziani.
    Il tema è da tempo al centro delle preoccupazioni dei demografi. Le persone in età da lavoro sono sempre di meno e già dal 2012 ne sono sparite un milione e 800 mila, nonostante il contributo degli immigrati. L'ex presidente dell'Istat, Carlo Blangiardo, ha sottolineato più volte come, di qui al 2050, poco più di una persona su due in Italia sarà in età da lavoro e dovrà provvedere alle esigenze degli altri, sempre più anziani. Le conseguenze sono evidenti non solo dal punto di vista sociale, ma anche da quello della tenuta dei conti pubblici. Nel 2070, la crisi demografica potrebbe costare all'Italia un terzo del Pil.
    Anche la nota di aggiornamento al Def che il governo ha pubblicato a settembre, dedica attenzione al problema e prevede che il peso della spesa pubblica per le pensioni salirà dal 15,4% del Pil dello scorso anno al 17% nel 2042, per effetto dell'incremento del rapporto tra numero di pensionati e numero di occupati. Considerando anche la spesa sanitaria, la spesa pubblica legata all'invecchiamento è stimata raggiungere il 28,3% del Pil nel 2040 per poi calare.
    Questa riduzione della spesa si spiega con il fatto che, a quella data, sempre più pensionati avranno assegni calcolati solo con il metodo contributivo, di importo inferiore, e l'età minima per andare in pensione sarà ancora più alta. La manovra stabilisce che sarà adeguata automaticamente alla speranza di vita a partire dal prossimo anno. 
   

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