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(di Paolo Petroni)
DANILO KISS, ''SALMO 44'' (ADELPHI,
pp.136 - 19,00 euro - Traduzione di Manuela Orazi) - I libri di
Danilo Kiss, scrittore ebreo jugoslavo di lingua ungherese morto
nel 1989 a 54 anni, per Milan Kundera il più grande di tutti gli
esuli che erano a Parigi negli anni 80, sono sempre un dono,
doloroso, che ferisce, ma salva con la bellezza della sua
scrittura, dell'andamento del suo raccontare, delle sue visioni
e metafore. E' quel che accade ora anche con ''Salmo 44'', opera
giovanile inedita in Italia, che si apre con in lontananza il
tuonare dei cannoni russi che si avvicinano, il sussurrare di un
tentativo di fuga a breve, rimandata dopo che ''erano state
uccise sul filo spinato tre donne, tra le quali Erzsike Kohn,
della loro stanza''.
Siamo a Birkenau, il campo di sterminio di Auschwitz, e sin
dall'inizio questo straziante, memorabile romanzo di Danilo
Kiss, che ci rimanda inevitabilmente a quel suo capolavoro che è
''Clessidra'', si gioca tutto tra speranza e terrore, tra
puntare sulla vita stando in attesa a fianco della morte. Maria,
la protagonista, passa infatti in baracca le notti accanto a
Polja, prima malata e poi morta, l'amica violoncellista
nell'orchestra del lager che avrebbe dovuto fuggire con lei e
l'intraprendente Jeanne, e lo fa tenendo stretto il figlio
neonato Jan, che ha miracolosamente avuto di nascosto e vuole
assolutamente portar via, salvare dalla fine certa che lo
attenderebbe in quel luogo di orrore. Quindi il racconto vive il
tempo dell'attesa, del momento in cui si possa scappare prima
che i nazisti decidano di evacuare il campo, che vuol dire la
fine per tutti. Un tempo in cui si affollano ricordi delle
mostruosità trascorse essendo stata la donna scelta da dottor
Mengele per i suoi esperimenti, la separazione da Jakub, l'uomo
che lavorava prigioniero nel laboratorio medico e è diventato
padre senza saperlo, le sofferenze e violenze quotidiane; un
tempo che dà sostanza al racconto e coinvolge sino all'Epilogo,
sei anni dopo con un ritorno in visita al campo assieme
all'uomo, anche lui sopravvissuto e ritrovato.
Kis racconta, senza omettere nulla, aggiungendo anzi,
arricchendo e dilatando con fatti e sentimenti la bestialità
della situazione che però non perde mai la sua dimensione di
umanità e pian piano, con una scrittura sincopata, lucida,
essenziale e ricca assieme, ci introduce trascinandoci come in
una spirale nella vita del luogo, di Maria e di tutti gli altri,
vittime e carnefici facendoci sentire vivi le prime, ma anche i
secondi con i loro metodi umilianti e distruttivi. Il salmo 44
cui rimanda il titolo parla di distruzione e odio ma nel segno
della speranza, che per Kiss ''è una necessità, per questo
dobbiamo inventarcela'', altrimenti non c'è né memoria, né
futuro.
Il padre di Kiss fu arrestato e ucciso in un lager quando lui
aveva sette anni, dopo le persecuzioni e massacro degli ebrei di
Novi Sad; a dodici ha perso anche la madre e si sente crescere
lasciando una scia di morti dietro di sé, e non si parla
ovviamente solo dei familiari. I morti allora per lui saranno
una presenza viva nei suoi libri, diverranno protagonisti di un
mondo scomparso che cercano di sopravvivere e in lotta contro il
male, attraverso cui si aiuta la conoscenza e si alimenta
l'orrore per quel che fu e che ha segnato la storia e tutta la
cultura occidentale. Ecco allora tutti i suoi libri, da
''Giardino cenere'' a ''Una tomba per Boris Davidovic'', che
avranno un momento esemplare, sin dal nome, nelle novelle della
''Enciclopedia dei morti'', a cominciare da quella che dà il
titolo e narra di un lavoro in migliaia di volumi che raccoglie
le voci, i nomi di tutti coloro che non compaiono in
alcun'altra enciclopedia, gli ignoti che hanno comunque vissuto
e come esseri umani hanno pari dignità di tutti gli altri.
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