Le intercettazioni su cui fonda il processo a carico degli 11 pakistani arrestati nell'aprile 2015 a Olbia e in diverse parti d'Italia, accusati di aver costituito una cellula di Al Qaeda, sono errate: il ricorso ad un dialetto anziché ad un altro nel corso della loro traduzione ha generato un grande fraintendimento. È questa la posizione ribadita oggi, al termine di un'udienza durata cinque ore, da Sultan Wali Khan, 40 anni, imprenditore, capo della comunità pakistana di Olbia, figura centrale del processo, accusato tra l'altro di essere tra gli organizzatori dell'attentato terroristico di Peshawar, in Pakistan, in cui il 28 ottobre 2009 morirono cento persone.
Di fronte alla Corte d'Assise presieduta dal giudice Pietro Fanile, a latere Teresa Castagna, al pm Danilo Tronci, all'avvocato Maria Claudia Pinna per l'Avvocatura generale dello Stato, che rappresenta la presidenza del Consiglio dei ministri dopo la sua costituzione di parte civile, e al vastissimo collegio difensivo, nell'aula bunker del carcere di Sassari Khan ha chiesto e ottenuto - così come Hafiz Muhammad Zulfikal, anche lui pakistano, 44 anni, altro personaggio di spicco della vicenda - di poter rendere dichiarazioni spontanee, ribadendo la convinzione che la rilettura delle intercettazioni permetterà di dimostrare l'inconsistenza dell'intero impianto accusatorio.
L'udienza di oggi, la terza da quando è iniziato il processo, è stata caratterizzata dal racconto del dirigente della Digos di Sassari, Mario Carta, che ha coordinato l'attività investigativa. Per l'indagine della Dda di Cagliari e della Digos di Sassari, basata anche su rogatorie internazionali, la cellula con base operativa a Olbia avrebbe pianificato attentati fra il 2008 e il 2010 in Pakistan e in Italia. La prossima udienza è fissata per l'11 marzo.
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