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In collaborazione con Università Telematica Internazionale Uninettuno
"Dalla creazione del mondo e
dell'uomo in "Genesi", primo libro che incontriamo aprendo la
Bibbia, fino alle "nozze dell'Agnello" nell'"Apocalisse", ultimo
libro del canone, si apre uno spazio ricco di immagini,
narrazioni, simboli e luoghi in cui si dispiegano le vicende
della storia umana e divina. Un percorso che ha fatto della
Bibbia non solo un testo fondante per la fede, ma anche un
grande archivio letterario e iconografico, in grado di
attraversare la storia culturale dell'Occidente": così Dario E.
Viganò, preside della Facoltà di Scienze della Comunicazione
dell'Università Telematica Internazionale Uninettuno e
Presidente del CAST, il Centro di Ricerca specializzato sul tema
del rapporto tra cattolicesimo e audiovisivi.
Come affermava il critico letterario canadese Northrop Frye, «la
letteratura non è un commento sulla vita e sulla realtà, ma
inserisce vita e realtà in un sistema di relazioni verbali». Una
riflessione che trova un seguito quasi vent'anni dopo nel saggio
"Il grande codice" (1981), in cui Frye scrive: «Le Sacre
Scritture sono l'universo entro cui la letteratura e l'arte
occidentale hanno operato fino al XVIII secolo e stanno ancora
in larga misura operando».
Ma cosa succede quando questo patrimonio simbolico e narrativo
viene assunto all'interno del sistema dei media? Un sistema che,
rappresentando, ristruttura e riorganizza il linguaggio - e
dunque anche quello dell'esperienza credente - contribuendo a
trasformare la percezione stessa del sacro?
A tale proposito il Card. Gianfranco Ravasi, nel suo studio sul
rapporto tra Bibbia e creazione artistica - sia essa letteraria,
figurativa o musicale - individua tre modelli interpretativi. Il
primo è un modello "reinterpretativo o attualizzante", che
assume il testo o il simbolo biblico per rileggerlo e incarnarlo
all'interno di coordinate storico-culturali nuove e diverse. Il
secondo è un modello "degenerativo", che «elabora i dati in modo
sconcertante \[…] e in tal modo il testo sacro si trasforma in
un pretesto per parlare d'altro». Il terzo, infine, è il modello
"trasfigurativo", secondo cui «l'arte riesce spesso a rendere
visibile risonanze segrete del testo sacro, a ritrascriverlo in
tutta la sua purezza».
Per questo è necessario andare oltre la mera constatazione del
sembiante religioso all'interno dei media e procedere a
un'analisi più profonda che ne indaghi lo "stile, il ruolo, le
funzioni e la modalità narrativa". Entrando a far parte
dell'universo mediale, infatti, il linguaggio del sacro si
espone a un logoramento, a una corruzione, ma anche a una
trasformazione significativa.
L'attenzione al religioso - e in particolare al rapporto tra
"cinema e storia biblica" - è cresciuta notevolmente negli
ultimi due decenni, diventando oggetto di analisi anche
accademica, come testimonia lo sviluppo dei "Religious Studies".
Scrivono a tal proposito Botta e Pinvizalli: «Se il paradigma
cristologico si è imposto nella storia come modello, diretto o
indiretto, di una filmografia religiosa profondamente ispirata
alla Bibbia come referente quasi necessario e naturale, nella
storia del cinema, e pure nel dibattito relativo al suo rapporto
con il religioso, l'obbligato riferimento al pensiero cristiano
costituisce anche un ottimale punto di partenza per una sorta di
aperta contestazione dei valori religiosi. È anche nella
dimensione critica dei Religious Studies, ad esempio, che si è
individuata una corrente critica di stampo 'ideologico' che, pur
opponendosi a un filone interpretativo definito per
contrapposizione 'teologico', di fatto finisce per non
distanziarsene, mantenendo sempre vivo quel comune riferimento
al testo biblico e alla riflessione di stampo cristiano».
Il campo di indagine è talmente vasto che una riflessione
critica richiede necessariamente una delimitazione tematica.
Potremmo infatti includere autori molto diversi come "Federico
Fellini", "Luis Buñuel", "Fred Zinnemann", o ancora "Robert
Bresson" con il suo "Lancillotto e Ginevra" (1974), opera nella
quale si scorge una «tormentata riflessione attorno al problema
della conquista umana della 'grazia' che produce un
atteggiamento di pessimismo esasperato, senza sbocco, cioè una
forma religiosa di ateismo».
Dalla "letteratura" al "cinema", dalla "televisione" al
"teatro", la figura di "Gesù" è stata raccontata, deformata,
riletta e rinegoziata a seconda delle tensioni culturali degli
autori e registi. Da "Processo a Gesù" (1955) di "Diego Fabbri"
al controverso "Sul concetto di volto nel figlio di Dio" (2011)
di "Romeo Castellucci". Dai romanzi come "Il quinto evangelio"
di "Mario Pomilio" al provocatorio "The Last Temptation".
È soprattutto nell'audiovisivo che la narrazione della Bibbia e
della figura di Cristo ha trovato la sua espressione più
popolare. Ma parlare di audiovisivo implica una maggiore
complessità analitica, poiché significa comprendere i "processi
di tramutazione semiotica", ovvero il passaggio da un codice -
quello scritto - a un testo composto da molteplici codici -
quello audiovisivo.
Un lavoro interpretativo, critico e culturale che oggi più che
mai si rende necessario, per comprendere non solo cosa del sacro
è rappresentato, ma "come" viene rappresentato e "quali
conseguenze" produce nella percezione del religioso nel mondo
contemporaneo.
In collaborazione con Università Telematica Internazionale Uninettuno
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