La pace in Ucraina è ancora un percorso in salita. "Dobbiamo pregare per la pace, sperare nella pace" ma si spera una pace vera, e non una pace fasulla, che rischierebbe di innescare altre guerre in futuro. Questo è quello che si vive e si pensa in Ucraina e a riferirlo è il Nunzio a Kiev, monsignor Visvaldas Kulbokas. E cita un esempio: "Vedo sui social numerosi video secondo i quali la pace alla quale pensa la Russia sarebbe solo un 'cessate il fuoco' per riorganizzarsi ed annientare prima o poi l'Ucraina. È quello che davvero teme la gente qui". Quindi alla domanda se vede a breve l'apertura di un tavolo per la pace, molto sinceramente dice: "Non ho una risposta".
Dall'altra parte, secondo il Nunzio, non si può sottovalutare una certa propaganda: "Vedo che si continua a dire che qui si vuole vietare di parlare il russo. Ma qualcuno ha notato che il sito della presidenza è, oltre che in lingua ucraina, anche in inglese e appunto in russo?". Ci sono poi gli ucraini che vogliono difendersi. "Ho incontrato in Polonia, qualche tempo fa una famiglia ucraina. Hanno un bambino piccolo. Il marito al fronte ha perso un occhio ma vuole tornare a combattere. La moglie ha deciso allora di nascondergli il passaporto...".
Questo è il clima.
Mons. Kulbokas accoglie in Nunziatura un gruppo di giornalisti al seguito di una missione organizzata dalle ambasciate ucraina e polacca presso la Santa Sede. "Avete portato la neve", dice con tono scherzoso e rilassato. Molto diverso da quando l'ANSA aveva potuto incontrarlo a maggio, sempre a Kiev, quando c'erano i materassi per dormire a terra nei corridoi, la parte più riparata della residenza. E i tavoli a fare da barricate nel salone, per fermare, o almeno rallentare, eventuali aggressori. "Dobbiamo continuare a vivere in qualche modo. Lunedì, quando c'è stato l'allarme aereo su tutta l'Ucraina, noi abbiamo continuato a lavorare. Dopo nove mesi non possiamo fare diversamente".
Il Nunzio risponde anche in merito alla delicata questione della volontà, da parte del governo di Zelensky, di mettere al bando la Chiesa ortodossa che fa riferimento al Patriarcato di Mosca. "Noi abbiamo sempre detto che se ci sono responsabilità personali devono essere perseguite ma non si possono condannare intere comunità religiose. Ma allo stesso tempo vedo che tra la gente comune, anche tra i russofoni, c'è un sentimento popolare, direi anche una preoccupazione" rispetto alle notizie di collateralismo da parte di alcuni pope e alcune 'lavra' (monasteri) filorussi. "E quindi sono per prime le persone semplici ad essere irritate di come le cose sono andate finora".
Poi l'ambasciatore vaticano parla della quotidianità della vita in un Paese in cui, a causa degli attacchi missilistici, si resta ore senza luce, acqua, riscaldamento. "Qui c'è un generatore ma in caso di blackout puoi avere una indipendenza di sei-sette ore continue, non di più. Poi gli sbalzi di corrente rompono tutto. Passiamo il tempo ad aggiustare le cose. Prima è stata la lavatrice, poi il fornello, altri apparecchi, la rete internet e così via". Si ripara e si va avanti cercando una normalità di vita nel pieno di una guerra.
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