E' "una Chiesa viva
dove il concetto di Chiesa coincide con quello di comunità. Oggi
la pastorale e il sostegno spirituale si trasformano in cura,
anche fisica, di quelle comunità che chiedono rifugio e
protezione. È una Chiesa più coesa di quanto in Occidente si
creda". Lo afferma il direttore della fondazione pontificia
Aiuto alla Chiesa che Soffre, Alessandro Monteduro, a
conclusione della sua missione in Ucraina, dove ha portato la
solidarietà dell'associazione, ha valutato sul campo aiuti e
progetti da finanziare, e ha incontrato le autorità
ecclesiastiche: gli arcivescovi di Leopoli e di Kiev, mons.
Mieczyslaw Mokrzycki e mons. Vitalii Kryvytskyi, il nunzio
apostolico mons. Visvaldas Kulbokas, i rappresentanti di diversi
ordini religiosi (francescani, domenicani, benedettine), i
dirigenti della Caritas locale.
"Le comunità cristiane hanno reagito in modo univoco e
compatto e dobbiamo fare di tutto perché questa unità -
sottolinea il direttore di Acs-Italia - non venga mai meno. E
anche se testimonianze raccolte ci hanno riferito che alcuni
sacerdoti ucraini, aderenti al Patriarcato ortodosso di Mosca,
sarebbero stati individuati come cospiratori, addirittura
ammassando armi nei luoghi di culto, da tutti i testimoni
cattolici incontrati è venuta solo una richiesta: unità. Se
venisse meno questa unità sarebbe una ulteriore grave
sconfitta".
Nella missione in Ucraina sono state toccate con mano le
atrocità della guerra, a Bucha, Irpin, Borodjanka, Vorzel. In
quest'ultimo borgo di Kiev la fondazione è impegnata
finanziariamente ai lavori di ristrutturazione per la
riapertura, a settembre, del seminario devastato dai russi
durante i giorni dell'occupazione. "Dopo aver toccato con mano
le sofferenze dell'aggressione, dopo aver visto cosa è avvenuto
nei dintorni di Kiev non si può essere contrari ad un aiuto -
dice Monteduro riferendosi al sostegno che arriva in Ucraina sul
versante della difesa -. Alcune autorità ecclesiastiche ucraine
ci hanno riferito che nella regione di Polyssia, al confine con
la Bielorussia, le truppe russe sarebbero entrate avendo in mano
le liste degli abitanti dei villaggi fornite loro da infiltrati
e spie. Nelle liste vi erano i nomi anche di ex reduci della
guerra del 2014 del Donbass. Tra loro anche civili considerati
mutilati di guerra, riconosciuti e uccisi proprio per le loro
disabilità fisiche. Vere e proprie atrocità". Per il direttore
della fondazione che aiuta in tutto il mondo le chiese in
difficoltà "dobbiamo anche chiederci fino a quando la risposta
potrà essere solo militare. È arrivato il momento di pensare,
anche da parte ucraina, a una soluzione negoziata del conflitto.
Non è tutto nelle mani di Putin".
Quanto ad un possibile viaggio del Papa a Kiev, "tutti
auspicano la presenza di Francesco. Il Papa ha dimostrato di non
avere nessuna paura, altrimenti non sarebbe andato a Mosul o in
Centrafrica. Se non rompe gli indugi ne soffre anche lui ma
compie un gesto d'amore nei riguardi dell'Ucraina. Teme che la
sua presenza possa scavare un ulteriore solco. Siamo nelle mani
del Pontefice: affidiamoci a lui", conclude il direttore di Acs.
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