Come un incubo che non si dissolve all'alba, ma diventa realtà.
Alle due del mattino, quando il boato inconfondibile della guerra sveglia Gaza, la paura si fa subito rabbia, terrore e dolore. "Eravamo tutti in preda al panico, non sapevamo dove andare", racconta un residente di Gaza alla Bbc, spiegando che l'attacco è avvenuto mentre si svegliava per il pasto del Ramadan prima dell'alba. Anche Essam Abu Odeh dice di essere stato svegliato all'improvviso alle due del mattino: "Mia figlia mi ha svegliato, avvertendomi del bombardamento. Ci siamo rapidamente posizionati a ridosso di pareti e muri, nel timore che le macerie potessero caderci addosso".
Poco dopo l'inizio dei raid israeliani si contano già decine di morti e feriti, destinati a moltiplicarsi a vista d'occhio, mentre le già provate strutture sanitarie sul territorio faticano a garantire soccorsi adeguati. Mohammed Zaquot, direttore generale degli ospedali della Striscia di Gaza, riferisce alla Bbc che tra i feriti ci sono persone con ustioni e fratture, e sono molti coloro che sono costretti a rimanere in attesa di un intervento chirurgico. "Gli attacchi sono stati così improvvisi che il numero di personale medico disponibile era inadeguato per la loro portata e sono state immediatamente chiamate altre squadre per fornire assistenza", spiega. Sforzi che funzionari umanitari a Gaza hanno descritto "frenetici" per far fronte alle esigenze dei nuovi sfollati e curare centinaia di vittime, anche bambini. E questo mentre gli attacchi continuavano, a intermittenza ma inesorabili. I servizi di assistenza dopo 17 mesi di conflitto hanno poche risorse e la buona volontà non basta per salvare vite. "Le vittime vengono trasportate su carretti trainati da asini perché non c'è carburante per le auto. Gli ospedali sono in difficoltà", afferma un alto funzionario umanitario a Deir al Balah.
Anche fra i sopravvissuti le tracce della morte sono ormai indelebili: Ghaitam, un diciannovenne di un villaggio vicino a Khan Younis, ha detto di essere stato svegliato dai rumori di aerei da guerra, esplosioni e urla. "È stato un incubo che si è avverato", racconta al Guardian. Poco dopo, Ghaitam è stato informato che un amico con cui aveva giocato a pallavolo il giorno prima era stato ucciso. "Non sono riuscito a trattenermi e ho iniziato a piangere. Sono andato al cimitero per dire addio al mio amico, ed era affollato di gente. Le scene lì erano strazianti". Adesso il ragazzo e la sua famiglia si sono trasferiti di nuovo, sfollati per la decima volta. "Dopo che gli ordini di evacuazione sono stati diramati, abbiamo iniziato a raccogliere alcuni vestiti. Non abbiamo abbastanza cibo o benzina. Ora ci stiamo dirigendo verso la casa di mia sorella in una zona più sicura. I nostri sentimenti in questo momento sono indescrivibili: rabbia, sfinimento, ansia, paura, terrore e dolore. Sembra che il peso del mondo sia tutto su di noi".
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