Denaro per i migranti che sarebbe
stato incassato nonostante gli ospiti delle strutture non
fossero più tali da mesi, condizioni di accoglienza non
all'altezza se non proprio fatiscenti, società definite
esplicitamente 'satelliti', perché tutto girava attorno alla
cooperativa-madre, la Karibu, e ai suoi dirigenti. E' quanto
emerge dalle testimonianze rese dagli ex dipendenti delle coop
di Latina al centro dell'inchiesta della procura che ha
coinvolto alcuni parenti del deputato Aboubakar Soumahoro.
Ieri con l'ordinanza del gip sulle misure interdittive per
tre indagati, si è chiarito che sono in realtà almeno sei le
persone iscritte nel registro, e l'ipotesi è che abbiano
commesso reati legati a false fatture allo scopo di evadere le
tasse. Oltre a Marie Terese Mukamitsindo, suocera del
parlamentare, c'è anche la moglie Liliane Murekatete e altri due
fratellastri di quest'ultima, Michel Rokundo e Richard
Mutangana; infine, due collaboratori - Ghislaine Ada Ndongo e
Christine Kabukoma. Mutangana, Ndongo e Kabukoma si sono
succeduti, a quanto ricostruito, alla guida della società Jambo
Africa, che però insieme al Consorzio Aid, secondo i magistrati
di Latina altro non sarebbero state che "schermi fittizi per
l'esecuzione di un illecito meccanismo fraudolento a gestione
familiare". Jambo, anzi, sempre leggendo l'ordinanza del gip,
avrebbe emesso numerose fatture per "operazioni inesistenti".
Conclusioni a cui la magistratura di Latina è arrivata grazie
a un capillare lavoro di ricostruzione della documentazione
fiscale - decisivo in questo senso il lavoro della Guardia di
Finanza - ma anche trovando elementi nelle dichiarazioni di
alcuni ex dipendenti, come si può leggere nella richiesta delle
misure cautelari firmata dal pm Andrea D'Angeli. Un ex
dipendente Karibu, ad esempio, sostiene di avere insegnato sì,
l'italiano ai migranti nel 2018 ma di non aver mai sentito
nominare la Jambo. Un'altra ricorda che era gestita "dal figlio
di Marie Terese, tale Richard". Un'altra ancora conferma che
"era una società satellite che faceva capo sempre a Karibu, la
signora Marie Terese. Un'altra persona ancora, sentita tra il
2019 e il 2020, dice che Jambo "non faceva attività di
formazione e alfabetizzazione agli ospiti ma si occupava
genericamente di assistenza" dei migranti minori. Scrive il pm:
"Le dichiaranti parlano di attività in termini di operazioni
compiute dagli operatori formalmente in forza alla Mukra
(un'altra delle presunte società satelliti, non citata però
dall'ordinanza del gip, ndr) e alla Jambo per l'assistenza e
cura dei migranti ma senza riferire di alcuna struttura o bene
strumentale in capo a dette associazioni". Anzi, "precisano che
la Mukra come la Jambo sono cooperative satelliti della Karibu,
e che i punti di riferimento erano sempre i responsabili della
Karibu e in particolare Mukamitsindo. Ne consegue - argomenta il
magistrato - che la Jambo può annoverarsi nella categoria della
associazione schermo esistente solo dal punto di vista
giuridico, costituita per prestare manodopera alla Karibu
secondo collaudati schemi illegali di esternalizzazione di
manodopera onde evitarne o ridurne i costi ed essere utilizzata
in un meccanismo fraudolento di fatture per operazioni
inesistenti onde giustificare a posteriori le uscite di danaro
che la Karibu aveva l'obbligo di rendicontare nell ambito dei
progetti Sprar o Cas". E anche in quei casi, sempre stando alle
testimonianze raccolte dalla procura, non sempre si sarebbe
agito in modo corretto: "Molti ospiti delle strutture Sprar -
afferma nelle carte una donna che ha lavorato per una delle coop
citate - si allontanavano dalle strutture per ricongiungersi a
familiari e altro. Di questo i responsabili della Coop Karibu
venivano informati immediatamente ma non provvedevano a
espungerli dalla lista tenendoli appesi per tre o quattro mesi
continuando così a percepire il contributo dell'ospite che si
era allontanato e non aveva più diritto allo stesso".
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