SHEILA HETI, 'MATERNITA'' (SELLERIO, pp.290 - 16,00 euro - Traduzione di Martina Testa).
Non può non esserci molto di personale in questa lunga riflessione, confessione, autoanalisi che l'io narrante conduce per quasi trecento pagine sul proprio essere giunta a una svolta cruciale della vita, della vita di una donna che, alle soglie dei 40 anni, comincia a interrogarsi ossessivamente se debba cominciare a pensare ad avere un figlio, ma anche lievemente, drammaticamente e ironicamente insieme, sempre si direbbe con una bella dose di sincerità, in cui confluiranno pure confronti, esperienze e confidenze di amiche coetanee, tutte alle prese con tale dilemma se un figlio non l'hanno già fatto.
Tutto quindi abbastanza 'vero' se fin dall'inizio si avverte che i risultati di lanci di monete per consultare l'I Ching (è anche questo uno dei modi per cercare di darsi delle risposte su un problema) ''sono tutti derivati da veri lanci di monete''.
Eppure Sheila Heti persona in queste pagine ha poca importanza, qui prende corpo la sua scrittura, ed è questa che procedendo, crescendo su se stessa, prendendosi ora sul serio ora meno, ma senza mai mollare la presa di un equilibrio (precario?) tra ragione e sentimento, riesce a trasmettere anche a un lettore di sesso non femminile una sua urgente verità. Siamo davanti a una donna che (come ha sempre confessato la scrittrice) da giovane si era scelta come modello Henry Miller e aveva deciso di eguagliarne, più che lo stile letterario, quello esistenziale, buttandosi via giorno dopo giorno in una vita dissoluta, in una sfida di sopravvivenza dolorosa ed esaltante, fino al momento che il cosiddetto orologio biologico si fa sentire. Se in precedenza ha abortito o ha preso più volte la pillola del giorno dopo, ecco ora il proporsi dell'interrogativo essenziale, che però non ha una possibile risposta univoca. Anzi. Se in passato l'avere figli era stato un gesto praticamente naturale e necessario, oramai era diventato invece un fatto culturale e sentimentale assieme, e come tale poco chiaro, di difficile risoluzione: ''Se voglio figli o meno è un segreto che nascondo a me stessa: è il più grande segreto che nascondo a me stessa''. A questo rebus si aggiungono una serie di altri candidi interrogativi contrastanti, perché la protagonista, divorziata, si chiede se fare un figlio con l'attuale compagno Miles e si risponde di no, come poi si risponde di sì all'idea che un figlio comunque lo vorrebbe, ma non si sente di lasciare Miles come allora dovrebbe fare. In più lei è ebrea e come tale, dopo quel che è accaduto nel secolo scorso, dovrebbe affrontare positivamente la vita e aiutare a ridar vita al popolo ebraico. O forse invece è il contrario che bisognerebbe fare? Con Miles, che una figlia la ha già e non ne desidererebbe altre, comunque sul problema si confronta (i due si parlano più di quel che fanno tante coppie, che rimandano e evitano i temi scottanti), come fa con le amiche, con vari medici, con l'I Ching e altri strumenti legati al caso e alla sorte, ma senza mollare la presa, senza smettere di essere un povero individuo in un momento di grandi cambiamenti sociali e esistenziali: il controllo delle nascite e la libertà sessuale hanno cambiato molte cose, ma non si sono strutturate in nuove soluzioni e modelli di vita, anzi di modi di essere.
Questo affascinante, non sempre facile, gomitolo di sogni, pensieri, dubbi, incertezze, disillusioni, che tra angosce e esaltazioni avverte la magia della maternità (e alla magia spesso si affida) ma ne è oppressa dalla razionalità del realismo (e le varie realtà e scelte delle amiche) proprio di tutto questo vive, con le sue radici famigliari nel'Novecento e nell'Olocausto e il suo inquieto presente davanti al tempo che passa. E ' il caleidoscopico moltiplicarsi delle possibili e impossibili risposte alla domanda ''Perché si fa un figlio?''.
Quindi una guida per perdersi appresso alla narratrice per lettrici alle prese con lo stesso problema e per lettori che vogliono capire cosa stiano vivendo le proprie compagne.
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