MICHEL FABER - 'IL LIBRO DELLE COSE NUOVE E STRANE' (Bompiani, pag. 578, euro 21)
"In un certo senso tutti i miei romanzi portano i lettori in mondi nuovi e strani" dice Michel Faber parlando del suo nuovo romanzo 'Il libro delle cose nuove e strane'. Se nuovo e strano è il mondo immaginario in cui l'autore di 'Il petalo cremisi e il bianco' ha scelto di ambientare il suo lavoro, che esce a 13 anni dal bestseller che gli ha dato una fama planetaria, tutto umano è il cuore del romanzo, e molto ha a che vedere con la sua storia personale.
E' impossibile, per questo strano e timido 55enne olandese, parlare del suo lavoro senza tirare fuori il dolore per la perdita della moglie Eva, avvenuta poco meno di un anno fa. C'è molto, della loro storia, nel rapporto che unisce Peter, il protagonista del romanzo, un pastore in missione su un pianeta extraterrestre per portare la buona novella agli alieni, e la moglie Bea, rimasta su una terra sempre più alla deriva. E' lei che ha portato Dio e l'amore nella vita di Peter, salvandolo da una vita da alcolizzato trascorsa per le strade di Londra. Così, a sua moglie Eva, Michel riconosce il merito di averlo "introdotto alla comunità umana: quando l'ho conosciuta ero ai margini della società, un asociale, ero un borderline, lei - racconta commosso - mi ha spiegato come vivono le persone e mi ha fatto sentire più connesso alla razza umana". L'essere bordeline, per Faber, ha molto a che fare con la condizione dello scrittore: "qualche volta penso che un artista non dovrebbe avere una moglie perché - dice - vive su un altro pianeta, è difficile trovare un equilibrio tra la scrittura e l'avere una persona vicina, con Eva ci sono riuscito e sono contento di essere riuscito a raccontare, nel libro, la storia di un amore che funziona, perché esiste, può capitare".
Peter vive a milioni di anni luce da sua moglie, in un nuovo mondo, dove l'atmosfera è tattile e i giorni lunghi 72 ore, i cui abitanti sono due comunità non del tutto umane: quella degli impiegati della multinazionale Usic, che ha colonizzato il pianeta, e quella dei nativi, gli 'oasiani', tanto imperturbabili quanto ansiosi di conoscere la parola di Dio custodita in quello che chiamano 'Il libro delle cose nuove e strane'. E' inevitabile che a un certo punto le esistenze di Peter e Bea si facciano sempre più distanti, che le loro mail non riescano a colmare la distanza fisica: "il suo cuore e la sua mente - scrive Faber - erano intrappolati nel suo corpo, e quest'ultimo era lontano da Bea". Eppure Peter e Bea riescono a ritrovarsi perché "è normale che nella vita ci siano eventi che ti portano lontano dall'altro, ma la vera questione - considera l'autore - è ritrovare la persona che ami".
Se Bea è quasi una Beatrice dantesca, Peter invece vive la contraddizione "tra l'essere qui e ora e l'essere umani, che significa soffrire la perdita perché noi perdiamo tutto: la storia, il passato, i corpi, le persone che amiamo, forse un giorno perderemo anche il pianeta dove abitiamo". Anche se il suo libro parla di fede, Faber preferisce non offrire facili speranze: "mi piacerebbe credere, significa che penserei che potrò rivedere Eva, ma so che non è così, in modi diversi soffrirò per sempre, ma come umani abbiamo il dovere di andare avanti, io lo faccio scrivendo poesie come forma di riconciliazione con la perdita". Non speranza, dunque, ma "consolazione", la stessa che si prova leggendo questo libro dove il mondo alieno è sì accettabile, "ma fa rimpiangere quello che si è lasciato, e spinge a ringraziare per ciò che si ha".
Lui ha deciso di continuare a rendere grazie alla donna che ha cambiato la sua vita terminando i racconti da lei lasciati in sospeso e sforzandosi di essere l'uomo che lei conosceva "e non il depresso asociale dei tempi di 'Under the skin'". Anche per questo ha deciso di lasciare la stazione ferroviaria scozzese dove abitava con lei: "è nel mezzo del nulla, per noi era una universo per due, ora è solo sperduta". Ascoltare la storia di Michel ed Eva è già pensare di leggerla, ma questo non sarà possibile: "mi stupirebbe se scrivessi un altro libro, ho sempre saputo di avere dentro di me un certo numero di romanzi, uno diverso dall'altro, e sono orgoglioso di loro, ma non intendo ripetermi, penso di aver fatto - conclude - ciò che dovevo fare".
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