(di Daniela Giammusso)
"Donna. Nella specie umana,
l'individuo di sesso femminile, soprattutto dal momento in cui
abbia raggiunto la maturità anatomica e quindi l'età adulta. Una
giovane d., una d. anziana; non è ancora una d. (non ha ancora
raggiunto la pubertà) (...)". Così il dizionario Treccani, il
primo per autorevolezza e faro della conoscenza in Italia,
definisce la donna. Ma ci sono poi, banalmente, documenti
ufficiali e moduli dell'anagrafe dove, ad esempio, anche chi si
chiama Maria sarà "nato a…". E poi i diritti dell'umanità, che
continuano a essere i diritti dell'uomo (e non della donna) o
quell'uso per cui, anche dopo anni di studio e lavoro,
un'ambasciatrice nell'immaginario collettivo sarà subito la
moglie dell'ambasciatore (e non la titolare).
Se è vero che la lingua sostanzia e sintetizza il nostro
pensiero, la prima discriminazione di genere in Italia la
compiamo, più o meno consapevolmente, parlando. È il tema al
centro del convegno Donna: animale, femmina dell'uomo. La
definizione del sostantivo nei dizionari, la necessità del
cambiamento, organizzato dall'Associazione Femminile Maschile
Neutro. "Non è una questione di politically correct - rileva la
senatrice Liliana Segre, nelle righe del suo messaggio a
distanza - Non si tratta di sbianchettare qualche termine
inopportuno sui testi ufficiali di qualche decennio fa. Ma una
più generale questione di portata culturale, di un problema di
civiltà",
"Chi possiede la lingua possiede il potere. La lingua e le
parole formano il pensiero - concorda la presidente di FMN,
Maria Tiziana Lemme - Essere negate dalle parole, vuol dire
essere negate da tutto". A leggere la definizione ufficiale di
"donna" del dizionario Treccani, prosegue, "ci si limita
all'aspetto procreativo. Una donna non possiede cervello né
linguaggio, né capacità di pensare e di trasmettere
informazioni, qualità invece ben specificate nella definizione
di 'uomo'". Ma la donna, aggiunge, "non è citata neanche alla
voce umanità e umano. I suoi sinonimi sono prostituta e donna di
strada. La voce 'ragazza' non è definita, rimanda a 'ragazzo', e
i suoi sinonimi sono insulti che spaziano da cagna a vacca e
zoccola".
Gli stessi che si ritrovano nelle denunce per femminicidio e
violenza sulle donne. In Italia, per fortuna, come rileva
l'indagine commissionata all'Istituto Demopolis, il tema
comincia a fare breccia: il 43% degli intervistati è consapevole
che sia importante superare gli stereotipi linguistici di
genere, percentuale che sale al 56% fra le donne e scende al 30%
fra gli uomini. Il 49% ritiene importante sostituire nei codici
il sostantivo "uomo" (per alludere all'essere umano) con il
termine "persona", il 65% condivide la scelta di rendere neutre
le formule sui documenti e sulla modulistica.
A questo proposito, la FMN ha già pronta una lettera aperta
alla Treccani e una proposta di legge realizzata con la Rete per
la Parità per "modificare provvedimenti giuridici e
amministrativi e titoli funzionali per assicurare alle donne la
piena cittadinanza ed eliminare dannosi stereotipi che ancora le
rendono invisibili".
L'abbattimento delle differenze di genere "è un tema cruciale
per il Parlamento Europeo - assicura la vicepresidente Pina
Picerno - La lingua italiana è bellissima, ma ha un'impronta
patriarcale frutto di secoli in cui la donna era relegata a un
ruolo marginale. Supporto la proposta di legge e penso anche
che" non declinare al femminile certi termini "sia una negazione
dell'emancipazione conquistata. L'esempio più lampante, la prima
donna al governo italiano che si rifiuta di declinare al
femminile la sua carica. Per me è un'offesa alla nostra lingua e
a decenni di lotte per i diritti".
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