"Che silenzio, pensate che sia un film sulla meditazione?" chiede scherzosamente Agnes Varda al pubblico della fondazione Prada, ancora immerso nelle sensazioni provocate dal film da lei girato insieme al fotografo Jr, 'Visages, villages', che ha vinto il premio come miglior documentario al festival di Cannes ed esce giovedì 15 marzo nelle sale italiane, distribuito dalla cineteca di Bologna. Quello dei due artisti, separati all'anagrafe da 55 anni ma uniti da uno sguardo pieno di curiosità ed empatia, non è solo un viaggio nella Francia più profonda e nei suoi paesi, in cerca delle facce e delle storie di chi "non ha potere" ma ha molto da raccontare, ma è un "antidoto alle brutture del mondo".
In viaggio sul furgone fotografico di Jr, un quattro ruote magico dove le persone sono invitate a salire per farsi immortalare, Agnes e Jr hanno percorso la Francia da Nord a Sud, dai paesi dei minatori al porto di Le Havre, passando per il Midi turistico e la campagna sempre più meccanizzata. Lui ha fotografato le persone, ha ingrandito ed esposto i loro ritratti, lei le ha ascoltate, mettendo in risalto le loro parole. "Per me il nostro è un vero documentario, realizzato da due sociologi di buonumore" scherza la novantenne Agnes, che si è presentata con un cartonato di Jr, perché "abbiamo fatto questo film insieme fin dalle intenzioni". Ed è lo stesso documentario a raccontarlo, riprendendo i loro primi incontri, fino alla decisione di portare avanti insieme un progetto "che potesse anche essere effimero, ma capace di creare una connessione sociale e di lasciar libera l'immaginazione".
Ed è questa la forza del film, dove le persone sono chiamate a partecipare attivamente: così Agnes e Jr arrivano in un villaggio abbandonato in fase di costruzione e invitano la gente del luogo a ripopolarlo anche solo per un giorno; scovano l'unica allevatrice della sua zona che non brucia le corna alle capre da piccole e un garagista che propone di decorarle con delle palline da ping pong anziché toglierle. "Questo è il meglio che si può fare, che la gente - dice la regista, con lo stesso caschetto bicolore che sfoggia nel film - entri nel progetto con la sua immaginazione". L'idea era "illuminare, ascoltare, ingigantire queste persone anonime, senza potere e senza voce", come il postino di paese, la cui sagoma è stata incollata su un palazzo di tre piani, o l'agricoltore che coltiva con il suo trattore tecnologico 800 ettari tutto da solo, e ora ha un silos con il suo viso che guarda i campi. E si, anche "modificare i pregiudizi, scuotere i cliché", come accaduto nel porto di Le Havre, "un mondo molto macho dove mi sono detta - racconta divertita - "adesso faccio il mio piccolo numero da femminista" e sono andata a cercare le mogli degli scaricatori, per poi fare un monumento a queste donne, di cui i loro uomini sono stati molto fieri".
Non è un caso che Varda - già definita 'la nonna della nouvelle vague' - sia stata la prima regista donna a ricevere, nel 2017, un Oscar alla carriera "e mi hanno anche detto che ero la più vecchia candidata". Eppure non è in questo lato più esibito la forza dirompente di questo film, che è tanto politico quanto controcorrente nel mostrare che "quando il contatto umano manca, fa male". Come il postino che non consegna più la posta in bici, portando carne e latte alle vecchiette, o l'agricoltore che grazie al trattore lavora da solo, o l'ultima abitante di un quartiere di minatori. Con tutti loro "è nato un legame", ma il più speciale è quello tra la novantenne regista e il giovane artista, che non si toglie mai gli occhiali da sole e l'ha fatto solo per lei, e poi le ha fotografato i piedi e li ha incollati su un treno, per continuare a farla viaggiare.
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