Da una parte la difesa di Marco Cappato, indagato a Milano per aver accompagnato a morire due malati in Svizzera nel 2022, che chiede di inserire la "prognosi infausta breve" tra i requisiti per poter accedere in Italia al suicidio assistito. Dall'altra l'avvocatura dello Stato e quattro pazienti affetti da patologie irreversibili che puntano a salvaguardare l'articolo 580 del codice penale considerandolo "una cintura di protezione".
Il fine vita torna sotto la lente della Consulta per la quarta volta in pochi anni. Stamattina l'udienza pubblica durata oltre tre ore in cui le diverse parti hanno illustrato le proprie ragioni. I casi alla valutazione dei giudici costituzionali riguardano stavolta una paziente oncologica e un malato di Parkinson, accompagnati tre anni fa in Svizzera a morire da Marco Cappato, tesoriere dell'associazione Luca Coscioni.
All'esame la questione di legittimità sollevata dal gip di Milano riguardo l'articolo 580 del codice penale nella parte in cui prevede "la punibilità della condotta" di chi aiuta al suicidio medicalmente assistito una persona affetta da una patologia irreversibile, ma non tenuta in vita attraverso trattamenti di sostegno vitali come nel caso di Elena, paziente oncologica di 70 anni, e Romano, 82enne affetto da Parkinson. La Corte ha ammesso l'intervento in giudizio di quattro pazienti con patologie irreversibili. Una di loro, Maria Letizia Russo, era presente in Aula.
"L'autodeterminazione è viziata dal dolore e anche dal peso che sentiamo di essere sulle spalle delle nostre famiglie" ha spiegato la donna definendo l'articolo del codice penale in questione una "cintura di protezione" per chi si trova nelle sue condizioni. E anche l'avvocatura dello Stato, in rappresentanza della presidenza del Consiglio, chiede di dichiarare "inammissibile o manifestamente infondata" la questione di legittimità sollevata dalla gip di Milano. "Non c'è un diritto al suicidio né un obbligo dei medici di concorrere a una volontà suicidaria" è la posizione espressa dall'avvocato dello Stato, Ruggero Di Martino per il quale "si sta parlando di una norma penale che tutela il diritto alla vita in modo adeguato".
Di diverso avviso il collegio di difesa che ritiene vada accolta la questione di legittimità costituzionale "perché - spiega Filomena Gallo, avvocata dell'associazione Luca Coscioni - il requisito del trattamento di sostegno vitale deve essere chiarito con una sentenza vincolante". Viene richiesto, inoltre, che "a tutti i requisiti già previsti con la sentenza Cappato sia aggiunto, oltre al trattamento di sostegno vitale, in alternativa la prognosi infausta breve per il malato dove non vi è più nessuna linea terapeutica di cura".
Per Marco Cappato, tesoriere dell'associazione, accompagnare Elena e Romano in Svizzera "è consistito in un dovere, nel dovere morale di non girare la testa dall'altra parte di fronte a condizioni che non avevano altra soluzione se non quella di accettare che la vita proseguisse come una tortura, una condizione di sofferenza insopportabile". E i loro figli stamattina erano presenti al palazzo della Consulta per l'udienza.
"Mia madre ha scelto di non cadere in un baratro che stava degenerando in modo davvero brutto, quindi non voleva perdere la sua dignità e non avrebbe accettato una sedazione profonda - ha detto Cinzia, figlia di Elena Altamira - Noi l'abbiamo ascoltata, l'abbiamo compresa e con sommo dispiacere l'abbiamo appoggiata perché abbiamo rispettato la sua volontà". Mentre Adriano, figlio di Romano Noli, ha ricordato: "Le ultime sue parole su questo argomento sono state: io non accetto di non essere libero e non lo abbiamo supportato anche se inizialmente la sua richiesta di essere accompagnato in Svizzera perché è stato un po' uno shock".
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