"Un'aggressione di una violenza
inaudita". Queste le parole usate dal pubblico ministero di
Rovereto, Fabrizio De Angelis, durante la requisitoria
dell'accusa nell'ambito del processo a carico di Chukwuka Nweke,
il 38enne ritenuto responsabile dell'uccisione di Iris Setti, di
61 anni, avvenuta la notte tra il 5 e il 6 agosto del 2023 nel
parco Nikolajewka di Rovereto. Il pm ha chiesto l'applicazione
della pena dell'ergastolo con isolamento diurno di un anno,
confermando tutti i capi di imputazioni, comprese le aggravanti,
ed escludendo le attenuanti generiche.
Il processo, giunto alla terza udienza, si tiene davanti alla
Corte d'assise di Trento, presieduta dal giudice Rocco Valeggia.
Nweke, difeso dall'avvocato Andrea Tomasi, è accusato di
omicidio volontario aggravato, rapina e violenza sessuale con
l'aggravante di violenze gravi.
Nel suo intervento, il pm ha ricostruito l'intera serata
dell'imputato, a partire dalla prima aggressione di Nweke ai
danni di un ospite del centro di accoglienza Il Portico e dei
tragici minuti durante i quali Setti è stata aggredita e colpita
a morte, tra le 21.45 e la prima chiamata alle forze dell'ordine
da parte di alcuni testimoni, avvenuta intorno alle 22. Secondo
la ricostruzione, il 38enne, in Italia dal 2007, avrebbe
aggredito Setti, di 61 anni, colpendola ripetutamente a mani
nude, per poi stuprarla e rapinarla di un anello d'oro. "Non c'è
dubbio che l'azione violenta di Nweke, pur portata con le mani,
aveva la volontà di uccidere. È andato ben oltre la violenza
necessaria per vincere la resistenza di Iris Setti. Dall'esame
autoptico emerge un numero colpi impressionante (non meno di
49), poi c'è la frattura del dito su cui c'era l'anello; infine
la lesione relativa alla sfera sessuale", ha affermato De
Angelis.
Sulla capacità di intendere e volere, il pm ha rilevato come
Nweke sia stato più volte visitato da medici psichiatri e
"nessuno dei medici ha riscontrato sintomatologia psichiatrica
di nessun tipo", mentre ha escluso una valenza psicologica del
cosiddetto "morbo di koro", credenza tipica di alcune zone
dell'Africa.
In aula sono presenti i parenti della donna, costituitisi
parti civili e rappresentate dai legali Andrea De Bertolini e
Giovanni Rambaldi, assieme all'avvocato Manuela Biamonte, in
rappresentanza dell'aggredito al centro di accoglienza.
L'imputato non è presente in aula.
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