Soffocata nella culla dell'ospedale a soli tre mesi dal padre affetto da un disturbo psichiatrico.
Giuseppe Difonzo vedeva sua figlia "come capro espiatorio di tutte le frustrazioni, come fosse la persecuzione da sopprimere". Con l'accusa di omicidio volontario premeditato i Carabinieri hanno notificato al 29enne di Altamura un'ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip del Tribunale di Bari Roberto Oliveri del Castillo. L'uomo era già detenuto da aprile per violenza sessuale su una 14enne, figlia di un'amica di famiglia.
"L'ideazione diabolica", come scrive il gip, che ha portato Difonzo a uccidere la figlia "nel modo più atroce, in circostanze di tempo e di luogo e con modalità raccapriccianti, in una abominevole sequenza di morte" sarebbero da ricollegarsi ad un disturbo psichiatrico. Il 29enne risulta infatti affetto da 'sindrome di Munchausen per procura', una patologia che porta chi ne soffre a provocare dolore su se stesso e poi sui propri figli per attirare l'attenzione. Si tratta - secondo quanto sostiene la procura - del primo caso in Italia di un padre omicida affetto da questa sindrome. Prima che Emanuela, sua figlia, nascesse il 29 ottobre 2015, Giuseppe era stato ricoverato 28 volte in quattro anni. Da mal di testa a dolori addominali, da finti tentati suicidi a perdita della sensibilità agli arti. In una occasione, come raccontato da sua madre, inventò di aver ingerito un'intera confezione di aspirine finendo d'urgenza in ospedale. Quando sua figlia è nata avrebbe trasferito questo malessere su di lei. Approfittando dei momenti in cui la madre della piccola - inconsapevole di quanto avveniva e con un passato di violenze subite e marginalità sociale - non c'era, avrebbe tentato di soffocarla portandola poi al pronto soccorso per crisi respiratorie.
Nella sua breve vita, la bambina è stata ricoverata in quattro diversi ospedali per 67 giorni in meno di tre mesi fino alla notte fra il 12 e il 13 febbraio 2016, quando è morta. Ma, probabilmente, avrebbe potuto salvarsi. Il primario della Neonatologia del Policlinico di Bari già a dicembre aveva infatti segnalato al Tribunale per i Minori i suoi sospetti su possibili maltrattamenti subiti dalla bambina perché durante i ricoveri non erano emersi motivi clinici per spiegare le crisi respiratorie. I giudici, a gennaio, avevano disposto l'affido in comunità, revocato alcuni giorni dopo sulla base della relazione degli assistenti sociali di Altamura. Riaffidata ai genitori e tornata a casa il 2 febbraio, la piccola è stata di nuovo ricoverata dopo una settimana. Stando alla ricostruzione fatta dai militari del Nucleo Investigativo di Bari e della Stazione di Altamura, coordinati dal pm Simona Filoni, la mattina del 12, intorno a mezzogiorno, Difonzo aveva già tentato di soffocarla.
Testimone oculare di questo episodio è un bambino di 3 anni e mezzo, ricoverato nella stessa stanza della vittima. Il bimbo, sentito poi dagli inquirenti baresi in ascolto protetto, ha mimato i gesti del padre di Emanuela, le pressioni su fronte, viso, petto e pancia, utilizzando un bambolotto di pezza. Dodici ore dopo Giuseppe Difonzo, di nuovo solo con la bambina nella stanza di ospedale è riuscito nel suo intento. Avrebbe anche abbassato il volume del sistema di allarme dello strumento che monitorava i valori della piccola paziente, chiamando aiuto solo alcuni minuti dopo, quando ormai era sicuro che per la figlia non c'era più nulla da fare. Dagli atti dell'indagine emergono particolari raccapriccianti sulla personalità del 29enne che ha voluto assistere all'autopsia e che, dopo aver ucciso la figlia, ha costruito un "castello di bugie" per allontanare da sé i sospetti. Avrebbe poi anche tentato di speculare sulla morte della piccola per ottenere un risarcimento accusando i medici e tentando di "suscitare sentimenti di pietà e commozione" per ottenere donazioni da amici e conoscenti, sacerdoti e persino usurai. Nelle numerose telefonate intercettate, ce n'è una anche con il Vaticano il cui il 29enne chiedeva di parlare con il Papa.
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