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Giuristi, 'indagare la Cpi si può ma lo ha fatto Mosca'

Giuristi, 'indagare la Cpi si può ma lo ha fatto Mosca'

Della Morte: 'Non farebbe onore'. Npwj: 'Roma ha un ruolo speciale'

BRUXELLES, 07 febbraio 2025, 22:32

(di Valentina Brini)

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Giuristi,  'indagare la Cpi si può ma lo ha fatto Mosca ' - RIPRODUZIONE RISERVATA

Giuristi, 'indagare la Cpi si può ma lo ha fatto Mosca ' - RIPRODUZIONE RISERVATA

Indagare i funzionari della Corte penale internazionale è possibile, ma il precedente è scomodo: porta dritto a Mosca, dopo il mandato d'arresto per crimini di guerra spiccato contro Vladimir Putin. Le sanzioni annunciate da Donald Trump contro la Cpi e lo scontro tra il governo italiano e la stessa Corte sul caso Almasri hanno lasciato frastornati gli esperti di diritto umanitario internazionale, divisi tra chi preferisce restare in silenzio e chi cerca di analizzare gli sviluppi - distinti, ma intersecati tra loro - da un punto di vista legale. Non senza un certo rammarico nell'osservare che è stata proprio l'Italia nel 1998 a essere la culla della Corte con lo Statuo di Roma.

Il caso russo - con il procuratore della Cpi Karim Khan, la presidente Tomoko Akane e il giudice italiano Rosario Salvatore Aitala finiti sotto accusa - "non è certo un precedente che fa onore all'Italia", è la prima riflessione di Gabriele Della Morte, professore ordinario di diritto internazionale alla Facoltà di Giurisprudenza dell'Università Cattolica di Milano, davanti all'eventualità di indagare i giudici dell'Aja. Senza sconfinare nel dibattito politico, il giurista evidenzia a più riprese che il mancato rispetto del mandato d'arresto della Cpi per il generale libico Nijeem Osama Almasri, accusato di crimini contro l'umanità e crimini di guerra, rappresenta "una inequivocabile violazione di una norma di diritto internazionale e di un obbligo di cooperazione con la Corte", sancito proprio nello Statuto di Roma. "Forse dovremmo cambiare il nome al trattato, ma c'è una norma che prevede un obbligo di cooperazione". E ora l'Italia potrebbe trovarsi di fronte a "una procedura particolare", in cui la Cpi "avrà autonomia, dopo un'interlocuzione con il governo, nel decidere il da farsi" e scegliere "se deferire la mancata attuazione degli obblighi all'Assemblea degli Stati o portarla davanti al Consiglio di Sicurezza dell'Onu", che sulla Libia è responsabile.

Che la questione possa arrivare fino al Palazzo di Vetro è un'ipotesi condivisa anche dall'associazione No Peace Without Justice e da diversi giuristi dal profilo internazionale, alcuni anche profondamente legati alla Corte dell'Aja. Seppur la denuncia depositata da un cittadino sudanese rifugiato in Francia, vittima delle torture di Almasri, contro la premier Giorgia Meloni e i ministri Carlo Nordio e Matteo Piantedosi non sia sufficiente da sola, nelle descrizioni dei più, ad aprire un'indagine sulla violazione dell'articolo 70 dello Statuto, resta il principio cardine che invece nessuno mette in discussione: "Ogni Paese membro ha l'obbligo di eseguire i mandati di arresto della Cpi". "Se uno Stato ha bisogno di documenti tradotti, può richiederlo ai sensi dell'articolo 87(2) dello Statuto al momento dell'adesione", sottolinea Alison Smith, board member e legal counsel di Npwj, soffermandosi poi sul nodo più ampio: un sistema giudiziario internazionale "sempre più sotto attacco, sia dall'interno che dall'esterno". "Sempre più Stati membri mettono in discussione l'obbligo di arrestare e trasferire all'Aja latitanti internazionali e l'Italia - osserva Smith -, in quanto membro fondatore e culla dello Statuto, dovrebbe avere un ruolo di spicco nella difesa dei valori cardine". Un ruolo ancora più cruciale oggi, con Donald Trump che soffia sul fuoco e alimenta "un clima ostile". A rischio, è la constatazione della consulente legale, "c'è il lavoro della Corte proprio mentre è impegnata in indagini e processi in tutto il mondo", dal Darfur all'Afghanistan. Senza dimenticare "tutti quei casi in cui la Cpi rappresenta l'unica speranza di giustizia e risarcimento per le vittime".
   

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