Dopo essere stato per millenni un pozzo capace di assorbire la CO2, la regione Artico-boreale si è trasformata in una fonte di emissioni: lo indicano i dati relativi al periodo compreso tra il 1990 e il 2020, analizzati nello studio pubblicato sulla rivista Nature Climate Change e guidato da Anna Virkkala, del Centro di ricerca climatica Woodell, negli Stati Uniti. L'analisi indica che il 40% della regione rilascia una quantità di CO2 maggiore di quanta ne assorbe.
Per millenni la regione del cosiddetto Artico-boreale, che comprende anche gran parte di Canada, Alaska, Russia e Scandinavia, è stata un magazzino di CO2 perché nel bilancio annuale, la differenza tra carbonio emesso in particolare dal metabolismo dei microbi e quello assorbito dalla crescita delle piante, si aveva sempre un saldo negativo. Ma un'analisi dettagliata, relativa a quadrati di 1 chilometro per lato, indica che tra il 1990 e il 2020 è avvenuto un netto cambiamento.
I dati ottenuti da un mix di sensori posizionati sul terreno e quelli satellitari hanno notato che gran parte dell’assorbimento della CO2 viene annullata e superata spesso dai sempre più frequenti incendi. Un fenomeno che si aggiunge anche al più noto scongelamento del permafrost, il terreno perennemente ghiacciato che con l’aumento delle temperature sta gradualmente rilasciando grandi quantità di metano fino a quel momento intrappolato.
Le mappe permettono ad esempio di osservare come si siano ampliate le aree in cui oggi cresce la vegetazione, ben il 49% del totale. Nonostante la vegetazione porti a un assorbimento di CO2, causa dei frequenti incendi solo il 12% di queste aree mostra poi un saldo positivo di assorbimento della CO2. “Il ciclo del carbonio nella regione del permafrost sta davvero iniziando a cambiare”, detto Virkkala. “Il nostro studio – ha concluso – potrebbe fungere da segnale di avvertimento di cambiamenti più grandi in arrivo e offre una mappa dei luoghi che dovremo monitorare meglio nei prossimi decenni”
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