Nel primo giorno in cui il
mercato cambiario in Argentina ha operato senza restrizioni -
dopo l'eliminazione del cosiddetto 'cepo' che impediva la libera
compravendita di valute alle persone fisiche - la moneta
argentina, il peso, ha registrato una svalutazione immediata di
circa il 13%, passando dai 1097,5 pesos per dollaro di venerdì
agli attuali 1230.
Si tratta di una notizia parzialmente positiva per il governo
di Javier Milei e le autorità monetarie che, in accordo con il
Fondo Monetario Internazionale, hanno istituito una fascia di
oscillazione tra i 1100 e i 1400 pesos oltre la quale
scatterebbe un intervento della Banca Centrale.
Il dato positivo è che il peso non ha puntato direttamente
verso il tetto fissato di 1400 pesos e si è mantenuto in una
quotazione intermedia. Quello negativo è che ad ogni modo si è
registrata una svalutazione importante che, se confermata nei
prossimi giorni e settimane, rischia di riversarsi sui prezzi
andando ad alimentare un'inflazione che già con le restrizioni
vigenti aveva dato allarmanti segnali di ripresa.
In tale contesto il presidente Milei si è affrettato a
rassicurare gli argentini che "non ci sono ragioni per cui
l'apprezzamento del dollaro si riversi sui prezzi". E il leader
ultraliberista in un'intervista televisiva rilasciata oggi in
piena volatilità dei mercati ha fatto ricorso anche alla teoria
monetarista secondo la quale "se io non aumento la quantità di
denaro in circolazione non ci sono ragioni perché aumentino i
prezzi".
Al di là del mercato cambiario ad ogni modo le altre piazze
finanziarie hanno reagito in modo positivo all'avvio della nuova
fase del programma economico sotto l'ombrello dell'Fmi. L'indice
della Borsa di Buenos Aires e i titoli delle principali società
argentine quotate a Wall Street hanno segnato forti rialzi, e
sulla stessa linea i titoli di Stato hanno recuperato gran parte
del valore ceduto nelle ultime settimane con un conseguente calo
anche del rischio paese.
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