Con i dazi il rischio
delocalizzazione delle imprese italiane negli Usa "è un rischio
concreto, a tal punto che già lo vediamo nei dati. Se questa
presidenza è stata molto dirompente, in realtà anche la
strategia Biden di rafforzare molto gli incentivi hanno reso
conveniente andare a produrre negli Usa". Lo ha detto il
direttore del Csc di Confindustria Alessandro Fontana in
audizione sul Documento di finanza.
"Dal 2018 circa c'è questa pressione verso il resto del mondo
a riportare parte delle produzioni negli Usa", ha detto Fontana
spiegando che i flussi degli investimenti diretti esteri (Ide)
"mostrano come l'Ue abbia ridotto, quasi dimezzato i flussi in
entrata", mentre "sono rimasti alti quelli degli Usa e sono
continuati a crescere quelli della Cina". Ma visto che gli Ide
che sono investimenti in attività produttiva, escludendo la
parte finanziaria, il rischio è che, "se svuotiamo la base
manifatturiera italiana ed europea, difficilmente dopo
riusciremo ad avere una crescita del valore aggiunto e del Pil
adeguata e quindi difficilmente a trattenere occupazione", ha
aggiunto.
Per dare un "ordine di grandezza dei rischi", Fontana ha
ricordato che le "imprese esportatrici sono circa 80 mila, di
cui 24mila quelle verso gli Usa: se consideriamo le grandi
imprese, il 4% degli esportatori fa circa il 60% export,
mettendo insieme questi numeri arriviamo a un migliaio di grandi
imprese, che fanno una quota molto importante, superiore alla
metà, dell'export verso gli Usa e danno lavoro a 1,5 milioni di
addetti, e i rischi sono focalizzati su queste".
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