"L'imposizione dei dazi Usa sono
un terremoto nelle relazioni produttive internazionali,
paragonabile all'uscita dagli accordi di Bretton Woods del 1971
e allo Smoot-Hawley Tariff Act del 1930: gli Stati Uniti
causerebbero ripercussioni significative sull'economia italiana,
per la quale rappresentano la prima destinazione extra-Ue di
beni, servizi e investimenti diretti esteri, nonché il secondo
mercato per i beni con il 10,4% del totale". Lo ha detto
Alessandro Fontana, direttore del Centro studi di Confindustria,
in occasione di un convegno promosso da Confindustria Alto
Adriatico a Pordenone.
"Il settore manifatturiero italiano - ha aggiunto - risulta
particolarmente vulnerabile, con il 99,1% dei beni esportati
verso gli Usa nel 2024. Secondo le stime, l'export verso gli
Stati Uniti attiva circa il 7% della produzione manifatturiera
italiana, equivalenti a circa 90 miliardi. In uno scenario con
dazi Usa al 10%, il Pil italiano subirebbe una riduzione dello
0,3% cumulato entro il 2026, mentre l'export totale si
contrarrebbe di 4,1 miliardi nel 2025 e di 7 miliardi cumulati a
fine 2026. Si prevedono inoltre cali nei consumi delle famiglie,
negli investimenti e una perdita di 62.200 unità lavorative
cumulate nel 2026".
Secondo Fontana, i settori manifatturieri più colpiti
sarebbero autoveicoli, macchinari e apparecchi e altre attività
manifatturiere, con perdite complessive stimate in 11.754
milioni di euro. Lo scenario, secondo il Centro Studi di
Confindustria, potrebbe ulteriormente peggiorare in caso di
svalutazione del dollaro. "A lungo termine - ha concluso Fontana
- c'è il pericolo di delocalizzazione da parte di imprese
italiane negli Stati Uniti, con circa 80mila aziende
esportatrici potenzialmente sensibili a questa tendenza".
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