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L'albo non mette al riparo dal rischio terrorismo
Le associazioni di rappresentanza dei musulmani in Italia concordano. E’ arrivato il momento di istituire un albo degli imam. Una “patente” per ministri di culto. Ben vengano gli imam italiani. La proposta è allo studio del Viminale ma una volta approvata, lo Stato non deve intervenire nel merito
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All’albo dei medici e a quello degli avvocati presto si aggiungerà quello degli imam d’Italia. A chiederlo, da anni a gran voce sono le rappresentanze dei musulmani in Italia. Una richiesta unanime che, finora, non è stata concretizzata da alcun governo. La richiesta torna in questi giorni, prepotente, perché è chiaro - in prima istanza ai musulmani - che è urgente sottrarsi alle strumentalizzazioni derivanti dagli episodi di terrorismo, a partire da quelli a Parigi e Copenaghen e poi a mettere distanza rispetto alle minacce anche all’Italia che arrivano dai jihadisti dell’Isis, anche loro musulmani.
I requisiti necessari per predicare nelle moschee e nei luoghi di culto? Studio e predisposizione. Il primo, da perseguire in facoltà di teologia (italiane o arabe basta che siano riconosciute). La seconda da conquistare con l'attivismo religioso. Ben vengano gli imam italiani, anche perché su un milione e settecentomila musulmani nella penisola la maggioranza è italiana.
La proposta è stata depositata sul tavolo del Viminale in seguito alla ripresa del dialogo con le associazioni di rappresentanza dell’islam voluta dal ministro dell’Interno Angelino Alfano che ha riaperto la “Consulta per l’islam” avviata da Giuseppe Pisanu, nel 2005. Il 23 febbraio, il ministro ha convocato alcuni rappresentanti delle comunità islamiche, dopo gli atti terroristici a Parigi e a Copenaghen, ai quali ha chiesto di “distinguere chi prega da chi spara” e ha aggiunto che “chi prega ha il dovere di prendere duramente, incontrovertibilmente, inequivocabilmente le distanze da chi spara, anche con denunce”.
Una delle organizzazione più convinte della bontà della proposta di codificare a livello nazionale un albo per gli imam è l’Ucoii, l'unione delle comunità islamiche in Italia (di ispirazione sunnita). Il suo presidente, l’imam di Firenze, Izzedir Elzir è chiaro al riguardo: “chiunque può fare l’imam – afferma - . Nella realtà italiana o viene nominato dal direttivo della comunità islamica locale o viene accettato dalla comunità stessa. Se abbiamo un imam istruito, è meglio. Ben venga la trasparenza, noi lo chiediamo dal 1991. La comunità islamica non ha un’intesa con lo Stato, non abbiamo neanche il riconoscimento dell’imam. Siamo amministrati ancora dalla legge dei culti ammessi del 1929”. La creazione di un albo, secondo Elzir, può viaggiare da sola rispetto alla stipula di un’intesa con la confessione religiosa.
Elzir fa alcune precisazioni e traccia già i confini di competenza tra comunità islamiche e Stato: “l’albo degli imam deve essere fatto dalla comunità islamica. Lo stato italiano è laico non può intervenire nei lavori interni della comunità islamica. Può approvare quello che approva la comunità islamica che porta quest’albo alla prefettura e poi alla direzione centrale dei culti ammessi”.
Per essere nominati imam ci due cose che contano: la condotta e lo studio. In primo luogo, un impegno concreto nella comunità e una minima conoscenza del Corano e dell’Islam. Quanto alla conoscenza della religione islamica, “non è necessario che sia frutto di un titolo di studio, può essere anche appresa da autodidatta”. Secondo Foad Aodi, presidente del Comai, (Comunità del mondo arabo in Italia) occorre invece la “laurea in teologia” (da prendere sia in Italia che in Egitto), un’esperienza di tre anni e la predisposizione per fare l’Imam “perché è una cosa importante”.
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La “patente” da imam però non mette a riparo il paese dagli estremisti. “E’ una questione tecnica. Non c’entra con il terrorismo che va combattuto insieme alle forze dell’ordine e con le altre comunità religiose. Non è che l’albo degli imam risolve la questione del terrorismo ma non c’è dubbio che dà un messaggio di tranquillità”, precisa l’imam di Firenze.
In effetti, al momento esiste già una forma di albo, in fase embrionale, espressione della sola l’Ucoii che ha già una gerarchia interna, dispone anche di un albo degli imam. “Ora quello che chiediamo è che venga approvato dal ministro dell’Interno – afferma Elzir - .
E’ una proposta che porteremo all’attenzione del ministro Alfano, nei prossimi incontri, insieme ad altre proposte come quella dei corsi di aggiornamento per imam, di comprensione della fede islamica e di conoscenza della realtà culturale e legislativa italiana. Dopo l’11 settembre abbiamo deciso di adoperare una filosofia che è quella di prevenire”. Quanto alle espulsioni e agli arresti di imam registrati in passato in Italia, Elzir appare tranquillo: “il nostro paese è tranquillo – aggiunge l’imam - . Non per questo bisogna abbassare la guardia ma possiamo dare un messaggio di tranquillità, reale, di fatto”.
“Il pericolo non arriva dalle moschee come una volte – avverte Foad Aodi – perché sono controllate ogni giorno e i musulmani lo sanno. Il pericolo viene dal web, fa Face book, da Twitter e dai video musicali. Bisogna indagare su ogni video, anche innocenti perché coinvolgono parecchi giovani. I messaggi veicolati dalla musica conquistano i giovani e se questi vivono una crisi di identità, soprattutto le seconde generazioni di immigrati, è possibile che si lascino convincere” e sposino la causa terroristica.
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C'è un'altra questione difficile da digerire per l'Ucoii, è la legge "anti-moschee", approvata dalla Regione Lombardia e impugnata dal governo, che prevede requisiti stringenti per la costruzione di luoghi di culto e, di fatto, impedisce la costruzione di nuove moschee perché subordina l'avvio dei lavori alla sottoscrizione di un accordo con lo Stato, cosa che i musulmani non hanno mai fatto.
Eliminate di fatto le moschee, il testo di legge, per i requisiti urbanistici previsti (telecamere collegate con le forze dell'ordine, costruzioni congruenti architettonicamente "con le caratteristiche generali e peculiari del paesaggio lombardo", parcheggi con una superficie almeno doppia di quella del luogo di culto stesso e obbligo di valutazione ambientale strategica del progetto da parte dei Comuni) rende difficile anche l'edificazione di sinagoghe e di templi protestanti o buddisti.
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Le testimonianze di Stefania, juventina, Wanda laziale, Chiara e Anastacia romaniste, di una scrittrice e una giornalista, Marta Elena Casanova e Rosita Mercatante, che seguono l'universo femminile sugli spalti, il parere critico di Luisa Rizzitelli, presidente di Assist, l'Associazione nazionale atlete, e quello vissuto di Beppe Franzo, storico ultrà della Juventus, il club che vanta il maggior numero di tifosi in Italia e autore a sua volta di testi sulla storia del tifo. Infine, la storia di Nadia Pizzuti, la prima donna a entrare (da cronista dell'ANSA) in uno stadio di calcio in Iran, a Teheran. Era il 22 novembre del 1997
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